Ci sono dei film da cui non ti aspetti nulla, se non che parlino di normalità.
Ma raccontata bene. E con attori bravi.
Niente di speciale, se non che sta proprio in questo la bellezza delle due ore, in nessun effetto speciale.

Lo so, l’ho letto, amici, che vi è mancato il sesso, la passione sotto le lenzuola un pò alla vita di Adele, ma qui avrebbe stonato.
E non perchè il sesso stoni. Quello, di per sè mai.
Ma qui si racconta la complessità di una relazione lunga, di anni insieme, di una storia che dopo cinque anni ti chiede il conto.
E non di storie tormentate, lesbodrammi, amori impossibili.
Qui è possibile.

 

Ma non è quello che si voleva da questo periodo storico?
Non si voleva la possibilità?
C’è ancora bisogna di narrare la sessualità gay per confermare che le storie gay sono fatte anche di quotidiano, di noia, di baci al volo la sera e di serie Tv da ingoiare insieme alla cena e a un vino rosso?
Davvero abbiamo bisogno di vedere che le attrici fanno sesso per dimostrare l’esistenza di una storia piena e ricca di passione?

Io credo di no.
Credo che l’affermazione delle coppie gay passi anche da qui. Da una assoluta normalità dove il sesso (sfrenato, canonico, noioso, passionale) è in qualche modo sottinteso.
Queste due meravigliose cinquantenni si mangiano dalla passione.
Qualche scena di sesso sicuramente ci sarebbe stata bene, ma perchè quello è come il prezzemolo.
Sta bene su tutto.
Ma la mancanza di queste scene, non ha eliminato quel senso di passione e tormento che c’è tra una coppia dove una delle due è pure etero (ex etero, si definisce tale, bisex….fate vobis).
E mi soffermo anche su un altro aspetto spesso dimenticato dalla totalità delle narrazioni (anche delle donne gay stesse quando si ritrovano nella medesima situazione della Ferilli): l’altra.
La confusione che l’altra (etero) si ritrova ad avere dentro quando si lascia andare a una storia gay per la prima volta e magari ha già una certa età. Non ci si sofferma mai abbastanza a indagare quanto possa soffrire l’altro, già pieni della propria sofferenza che passa dal non sentirsi mai tranquilli, dal non avere mai del tutto la donna, dal sapere che potrebbe andarsene con un’altra o con un altro. Dimentichiamo che questo, in generale, fa parte del gioco.
Non si possiede, si vive transitoriamente una relazione, nel senso che cambiamo noi per primi e quindi anche la coppia.
Non è che nel momento in cui la donna etero decide di lasciarsi andare, allora improvvisamente è gay. Ma no.
Questo è un errore, un grandissimo errore di valutazione.

Si è qualcosa insieme che giorno dopo giorno prende forma, come tutte le coppie del mondo.
Qualcosa che domani può non essere più o prendere altra forma.
Anche evolutiva. Come succede alle due protagoniste meravigliosamente interpretate dalla Buy e dalla Ferilli. Una gran conferma la prima, una scoperta la seconda.

Si ride (tanto, davvero tanto), ci si emoziona e soprattutto si tifa per la loro coppia, l’unica possibile nella narrazione.
Ero in sala con gente grande, davvero grande (la maggior parte ultra sessantenne), e tutti tifavano per loro.
Questo non basta?
Non ci basta per dire che è un bel film e che davvero i tempi sono cambiati?

Il sesso smuove gli animi, la normalità le coscienze.

Fare attenzione alle sfumature è quello che passa di più da questo film.
Le donne sono piene di sfumature (a tutti si è gonfiato il cuore, sono sicura, quando la Ferilli le passa l’asciugamano sul collo mentre la Buy si allena e prima di andarsene le sfiora la mano).
Con la stessa attenzione dovremmo pensare che siamo fatti di cambiamenti.
Che la donna etero che si accompagna a una donna gay sta scegliendo con mille dubbi ogni giorno, non solo la propria compagna, ma se stessa.
Che la donna gay che si innamora di una etero, non sarà per forza e per tutta la relazione quella “più innamorata”.
E che ogni donna può essere una stronza, gay o etero che sia.
Le persone cambiano, così le loro relazioni.

Rimangono sullo sfondo quelle belle, mille attenzioni che sa dare una donna (gay).
Quelle che, mentre ti stai lasciando, ti fanno dire “copriti, che è freddo” o “mangia, mi raccomando”.
E’ così. E’ così per davvero. Sfacciatamente normale.

Francesca Bernabei