Patrizia Cavalli (1947) è considerata una delle maggiori poetesse italiane contemporanee.
Nata a Todi, vive a Roma fin dai tempi dell’università.

 

La poesia della Cavalli è caratterizzata da una complessa tecnica poetica: le misure metriche che utilizza sono classiche, ma il lessico e la sintassi sono quelle della lingua quotidiana e familiare.

Gli oggetti popolano le liriche e diventano metafore di situazioni quotidiane, raffigurando una condizione interiore di dispersione e smarrimento, come nelle due poesie che seguono:

Quante tentazioni attraverso

Quante tentazioni attraverso
nel percorso tra la camera
e la cucina, tra la cucina
e il cesso. Una macchia
sul muro, un pezzo di carta
caduto in terra, un bicchiere d’acqua,
un guardar dalla finestra,
ciao alla vicina,
una carezza alla gattina.
Così dimentico sempre
l’idea principale, mi perdo
per strada, mi scompongo
giorno per giorno ed è vano
tentare qualsiasi ritorno.
(Le mie poesie non cambieranno il mondo)

Nel cesto della biancheria sporca
riconosco l’estate,
i pantaloni leggere le magliette.
Avevo troppa fretta di partire
per potermi fermare a ripulire
le tracce della corsa.
(Le mie poesie non cambieranno il mondo)

Ma poi l’amore sembra riportare la concentrazione necessaria a cogliere i messaggi più intimi e segreti, ponendosi al centro della riflessione della poetessa che al sentimento amoroso dedica toni suggestivi e sempre saldamente ancorati al livello connotativo tipico del linguaggio poetico.

“O amori – veri o falsi
siate amori, muovetevi felici
nel vuoto che vi offro”.
(Pigra divinità e pigra sorte)

Tu te ne vai e mentre te ne vai
Mi dici “Mi dispiace”.
Pensi così di darmi un po’ di pace
Mi prometti un pensiero costante, struggente
Quando sei sola e anche tra la gente.
Mi dici: “Amore mio mi mancherai.
E in questi giorni tu cosa farai?”
Io ti rispondo: “Ti avrò sempre presente,
avrò il pensiero pieno del tuo niente”.
(L’Io singolare proprio mio)

È significativo in queste due poesie il richiamo al vuoto, al niente, come se per fare spazio all’amore fosse necessario liberarsi di orpelli, di pesi, di sovrastrutture, così da aprirsi al rapporto con l’altro, o meglio, nel caso di Patrizia Cavalli, con l’altra, perché la poetessa non fa mistero della sua omosessualità e in una recente intervista dichiara esplicitamente la sua inclinazione per le donne affermando che essa

“non è stata una scoperta, ma una decisione necessaria al mio orgoglio. Dettata anche, per quanto sembri paradossale, da una certa viltà e conformismo. Intorno a me vedevo cose poco incoraggianti: mai avrei voluto essere come quelle mie amiche sempre tremebonde coi loro fidanzati, né potevo accettare la superiorità riconosciuta ai maschi. E neanche volevo perder tempo in questo genere di lotte e rivalse. Con le donne non ero in competizione, le amavo appassionatamente, con abbandono e fiducia, senza però veri trasporti carnali. Ma questi amori indefinibili non trovano molta accoglienza, sono visti con sospetto, per cui ho pensato che mi conveniva conformarmi alla regola. Se fossi riuscita a mettere insieme l’amore fisico con quello spirituale, era fatta e tanti saluti». Entrando poi nello specifico del sentimento amoroso, la poetessa dichiara ancora: «Uomo donna fiore frutto, non c’è differenza. Si combatte e poi ci si arrende.
Ci si arrende e poi si combatte. Finché tra un combattimento e una resa non arriva la stanchezza e allora si va in vacanza”.

Nella silloge Sempre aperto teatro, fin dal titolo la poetessa fa riferimento a una rappresentazione: la maschera che indossiamo, il copione che scegliamo di rappresentare, i riti vuoti e logori messi in scena per abitudine, sono i veri nemici dell’amore che ha bisogno invece di autenticità e naturalezza.
Per fortuna il teatro rimane sempre aperto e in questa apertura l’amore può insinuarsi cogliendoci magari impreparati ma comunque disponibili a giocare un altro ruolo, un’altra parte che può infine regalarci l’intimità.

Come se mi dicesse «andiamo a correre»
e non hai le gambe,
«giochiamo a tennis» e non hai le braccia,
e intanto ti dichiari decatleta,
bravissima tra l’altro, straordinaria.
La scena è mia, questo teatro è mio,
io sono la platea, sono il foyer,
ho questo ben di dio, è tutto mio,
così lo voglio, vuoto,
e vuoto sia. Pieno del mio ritardo.

Tuttavia il vero amore di Patrizia Cavalli sembra piuttosto quello che essa ha per la parola: «Ho per le parole un amore fanatico e superstizioso, fatto di ammirazione, rispetto e fiducia, diciamo insomma che le prendo molto sul serio. Esse mi ricambiano accorrendo con prodigalità e straordinario tempismo, tanto da anticipare spesso i miei desideri. Io con loro non mento, non faccio prepotenze, sono l’innamorata ideale. Magari fosse così anche con gli altri miei amori!».

Amore per l’altra e amore per la parola sono insieme riproposti nel poemetto “La Guardiana” in cui la poetessa si mostra finalmente capace di “trovare le chiavi” per aprire quelle porte che nell’età adulta le sembravano ermetiche e che pure essa riusciva ad aprire da bambina: un poemetto che possiamo interpretare nella sua valenza erotica ma che è certamente polisemico, e dunque ha una pluralità di significati, come tutta la grande poesia.

Da La Guardiana

[…] Per poi scoprire
che il piacere non ha porte e che
se mai l’avesse stanno aperte, che
potevamo allora rimanere fuori
sfornite e arrese tutte e due alla pari
giocando io alla porta e tu alle chiavi.

Cristiana Vettori