La sentenza relativa a una minaccia omofoba rivolta a Tommaso Cerno, attuale direttore dell’Espresso, ha finalmente rotto il muro di silenzio che protegge – si fa per dire – chi si sente autorizzato tramite la rete a inviare messaggi anonimi che contengono insulti e minacce.

Era il 2014 quando su Twitter comparve la minaccia contro il giornalista: “Finocchio di merda, stasera sei invitato a cena… porta anche i tuoi amichetti, mi raccomando”, aveva twittato un utente nascosto dietro al nome @locul01, allegando al tweet la foto di una tavola apparecchiata con cappi da impiccato.

 

Immediatamente era scattata la solidarietà con migliaia di messaggi di vicinanza a Cerno, da parte di esponenti politici di destra e sinistra, attivisti e semplici cittadini. Il giornalista aveva presentato un esposto chiedendo a Twitter di rivelare il nome del titolare del profilo: una richiesta che ha aperto una complessa trattativa tra l’Italia e gli Stati Uniti, dove Twitter ha la sede legale. Dopo due richieste di archiviazione alle quali il giornalista e la sua legale Carlotta Campeis si sono opposti, finalmente, poco più di un mese fa, è arrivata la sentenza: il colosso social è stato costretto a fornire i dati anagrafici del titolare del profilo. Si tratta di un cittadino italiano residente in provincia di Cremona su cui ora si spostano le indagini: la procura di Udine, dove era stato depositato l’esposto, ha trasferito il dossier per competenza ai colleghi lombardi.

«Questa battaglia di civiltà in un momento in cui profili anonimi e troll inquinano la Rete e le sue enormi potenzialità con messaggi di odio, omofobia e razzismo, segna un cambio culturale non tanto per me e per la mia vicenda di singolo quanto per le migliaia di persone che subiscono ogni giorno insulti e offese celati da nomi di fantasia» ha commentato Tommaso Cerno. «Quanti insulti così gravi colpiscono ragazzi gay ogni giorno, e loro non possono o non hanno il coraggio di denunciarli? Per tutte queste persone violenze del genere sono un tormento quotidiano, una ferita profonda che non si può rimarginare».

«È stato un ottimo risultato – dichiara l’avvocata Campeis – viste le difficoltà incontrate nell’acquisizione dei dati da Twitter, a ragione di regolamenti e politiche eccessivamente garantiste della privacy, giungere, a seguito di due richieste di archiviazione, all’individuazione di un soggetto responsabile. Questo è il primo passo, indispensabile per svolgere ulteriori accertamenti, e perseguire autori di reati ormai molto diffusi e di spiccata gravità».

«È una grande vittoria dalla forte valenza simbolica – ha detto anche Franco Grillini, presidente di Gaynet – soprattutto perché è la prima volta che i social cedono e danno il nome di chi ti minaccia. Sia Twitter che Facebok sono refrattari a far uscire gli utenti dall’anonimato. Ma le minacce sono reato e non rivelare i nomi non solo è profondamente sbagliato ma anche di dubbia legittimità Il fenomeno dell’odio su internet, gli insulti, le calunnie, sono sempre più frequenti perché nascosti dietro a una tastiera ti sembra di essere padrone del mondo. E l’omofobia, l’attacco e la non sopportazione della diversità trova in Rete il suo megafono. Ma questa tendenza va combattuta con forza».

Si tratta di una sentenza importante: troppo spesso assistiamo a insulti di chi si trincera dietro l’anonimato o dietro nick name che nascondono l’identità. Un comodo lasciapassare per chi vuole sfogare le proprie tendenze sadiche attaccando le personalità più fragili o diffondendo parole d’ordine che incitano all’odio e alla violenza. Bene ha fatto dunque Tommaso Cerno a portare fino in fondo la battaglia legale, non solo per se stesso ma per i tanti ragazzi e le tante ragazze che ogni giorno subiscono attacchi di vario tipo.

La vicenda dimostra comunque che l’omofobia non appartiene al passato ma è presente nella nostra quotidianità. Secondo un rapporto che Arcigay ha stilato e pubblicato di recente, nell’ultimo anno in Italia gli atti di omofobia sono raddoppiati rispetto all’anno precedente. Può essere il momento giusto, dunque, per tornare a parlare della legge contro l’omofobia. Il disegno di legge, che ha come primo firmatario l’onorevole Ivan Scalfarotto, è stato approvato alla Camera il 19 settembre 2013 ed è tuttora fermo a Palazzo Madama, non è nel calendario dell’Aula e non procede da tempo, anche se sono stati già presentati diversi emendamenti. Auspichiamo che l’Italia si affianchi ad altri paesi europei introducendo nel nostro ordinamento il reato di discriminazione e istigazione all’odio e alla violenza omofobica.

 

 

Cristiana Vettori